Paresi e plegia sono due diverse forme di paralisi che possono sopraggiungere in seguito a un trauma cranico che coinvolge l’area motoria del cervello, a un trauma vertebro-midollare o a danni dei nervi periferici (vedi anche Traumi accidentali, Esiti di trauma cranico-encefalico, Lesioni nervose periferiche e Disabilità conseguenti a lesioni nervose periferiche). Nel caso di lesioni midollari o periferiche, il deficit motorio affligge il lato interessato dal danno. Nel caso di lesioni cerebrali, invece, il deficit motorio e la lesione sono localizzati in lati opposti. Mentre, in riferimento alla zona interessata, la paresi consiste in una riduzione parziale e generalmente reversibile della capacità motoria, la plegia compromette la capacità motoria dell’area coinvolta in maniera totale e irreversibile.
In base al numero ed alla disposizione degli arti colpiti, la paresi e la plegia si distinguono in:
- monoparesi/monoplegia – coinvolge un solo arto;
- emiparesi/emiplegia – coinvolge gli arti del lato destro o sinistro del corpo;
- diparesi/diplegia – coinvolge gli arti della metà superiore o inferiore del corpo, in quest’ultimo caso si può anche parlare di paraparesi/paraplegia;
- triparesi/triplegia – coinvolge tre arti;
- tetraparesi/tetraplegia – coinvolge quattro arti.
Vi è poi la paralisi cerebrale infantile (PCI), causata da lesioni encefaliche riportate dal bambino durante o in prossimità del parto. Anche in questo caso, si tratta di un danno non reversibile e non progressivo. La PCI si manifesta con un ritardo neuropsicomotorio (vedi Ritardo psicomotorio) osservabile già nei primi due anni di vita. Generalmente, il danno coinvolge tutto il corpo anche se le varie parti sono compromesse con entità molto variabile.
Mentre la paresi è spesso reversibile tramite sedute di fisioterapia, la terapia nei casi di plegia e della paralisi cerebrale infantile mira soltanto a migliorare la qualità della vita del paziente. In questi ultimi due casi, la tipologia degli interventi varia sensibilmente da caso a caso.